Curata da Laura Cavallaro nella spettacolare cornice del restaurato castello di Calatabiano in provincia di Catania si è aperta la mostra antologica della pittrice polacca Marta Czok.
Dal 19 luglio al 7 settembre 2014 sono in parete quadri che visivamente avvalorano le sue parole quando dichiara che non ha mai riflettuto sulla sua personalità artistica: “Non sono sicura di averne o di volerne una”.
In rassegna le opere dialogano in modo surreale con le cose quotidiane, conservando quei piccoli segreti che la vita riserva ai comuni mortali, pregni di poesia e altre volte gonfi di una drammaticità che soltanto il vivere può offrire e malinconicamente regalare.
Alla vernice era presente, oltre alla curatrice e alle autorità regionali e locali, il direttore del MacS (Museo Arte Contemporanea Sicilia) Giuseppina Napoli che ha aperto l’evento con parole scevre da ogni circostanza, offrendo al pubblico una chiave di lettura originale quanto sapiente: “Con acuta ironia e delicata poesia – annuncia la dott.ssa Napoli – Marta Czok raffigura nelle sue opere lo scorrere della vita. Sulla tela prende forma la messinscena dell’umanità e l’artista, da regista consapevole ed illuminata, lascia intuire cosa si nasconde dietro le luci del palcoscenico”.
Nata in Libano nel 1947 da genitori polacchi, giovanissima si trasferisce a Londra e si muove nel mondo fino in Italia. Marta è una viaggiatrice, nei luoghi e nei tempi. La sua pittura è un’indagine culturale, quasi antropologica, dell’umanità.
“L’artista riesce a coniugare il suo sentire identitario con la forza espressiva della figurazione, stimolando così la comunicazione e la partecipazione sensoriale dello spettatore che diviene esso stesso metafora satirica del sistema sociale in cui vive e domina o, al contrario, dal quale è dominato”: così annota Laura Cavallaro in “L’estetica dell’esistenza nei dipinti di Marta Czok”.
La mostra è superbamente allestita, indubbiamente bella e preziosa, e quel che più conta unita stilisticamente. La pittrice rivela una forte personalità in contrasto con quanto a bella posta, crediamo, enuncia con le sue parole di rottura, quasi sempre anticonvenzionali: “Non sono come quei pittori che si travestono per sembrare ‘artisti’. Tutto quello che sono è nei miei dipinti, quindi non sento il bisogno di apparire o parlare come un ‘artista’. Immagino che sotto sotto sono una rivoluzionaria e la mia battaglia è contro il ridicolo abuso di potere, che sia per mano dello Stato o della Chiesa, ed è tutto nei miei dipinti, anche se a volte lo inserisco in modo cauto e delicato”.
Nelle sue annotazioni si leggono ancora parole di monito: “È vero, nessuno oggi viene bruciato sul rogo, ma cosa potrebbe accadere domani? Vorrei che le persone che guardano i miei dipinti si divertissero, si sentissero più potenti e mai sole. Ci sono molte persone là fuori che la pensano come me ma non hanno né il tempo né l’occasione per dire la loro. Spero di essere la loro portavoce, anche se solo sulla tela”.
La responsabilità dell’artista è dare al suo pubblico qualcosa che valga la pena possedere. Bisogna ricordare che la gente è intelligente e perspicace e che l’arte non diventa arte solo perché lo dice l’artista. Non basta appendere qualcosa in una galleria e illuminarla per bene per trasformarla in arte: “sarebbe come prendere in giro quelli che vengono a vedere questi lavori”.
La vera arte fa crescere l’anima del pubblico e “una scopa illuminata, per quanto costosa e per quanto lodata da critici e curatori di musei non riuscirà mai a farlo”.
Articolo originariamente apparso su Rinascita
Guerrino Mattei