La psicologia infantile nelle opere di Marta Czok

La psicologia infantile è la protagonista di questa raccolta di dipinti di Marta Czok; il dolore collettivo ne è solo il sottofondo. L’infante ha famigliarità con il dolore fisico, ma il suo timore non è di soffrire, bensì di essere abbandonato. Attribuisce la causa del dolore fisico, oltre che a sé, a tutto il mondo che lo circonda e che si distingue da lui progressivamente.
Dolore e piacere, in particolare tattili, sono il suo mezzo di comunicazione con il mondo, un mondo animato. Messaggi molto circoscritti di gradimento, di semplice informazione. In una coda alla cassa di un supermercato ho visto un bambino dare lievi calci alla madre per indurla a passare più in fretta, ed esortarla a far lo stesso con la cliente davanti, in modo che anche quella non indugiasse.
Una sofferenza atroce, immotivata e collettiva, quali quelle che ci presenta la storia, esula da ciò che un infante si immagina, mentre una certa crudeltà commisurata alle sue deboli forze può servire a manifestare un’intenzione ostile, ma non assumere i tratti della ferocia.
Accadde a una signora di difendere un bambino molto piccolo dalle percosse che alcuni, più grandicelli, gli stavano dando; e di domandar loro perché lo facessero. La risposta fu letteralmente: “perché ha tre anni”. Sottointeso: “… e pretende di giocare con noi, come se fosse un nostro pari”.
Una pretesa di superiorità nasce spontaneamente (sebbene non inevitabilmente) in un giovanissimo, via via che si accorge che il mondo esterno è distinto da lui, e delude il suo infantile delirio di onnipotenza.
Ma nella maggior parte dei casi questa esperienza non ha esiti distruttivi; anzi, sfocia dapprima in una ricerca di compagnia (anche immaginaria), poi in una esigenza di eguaglianza di fronte a una legge comune, infine in quella “insocievole socievolezza” sociopolitica, di cui parlava Kant.
Il vedere questa naturale evoluzione in contrapposto allo sterminio del diverso, che contraddistingue molte società “civili”, conferisce all’arte della Czok una tragicità tanto più atroce quanto meno conclamata. Questo esito possibile e terribile della storia fortunatamente si va facendo oggi più raro, combattuto da istituzioni apposite, che vorrebbero far passare tutta l’umanità da una società “chiusa” a una società “aperta”. Il cammino, tuttavia, è lento e i successi circoscritti.
Ma è consolante che chi si occupa del problema a livello politico si accorga di una artista che lo studia nelle fisionomie di bambini ancora inconsapevoli che, pure a distanza di qualche decennio potrebbero trasformarsi in aguzzini o vittime gli uni degli altri. L’arte è rivelativa e, svegliando l’opinione pubblica, potrà imprimere alla storia una direzione opposta a quella che tanta parte dell’umanità ha percorsa nel secolo XX; in parte cospicua percorre ancora.

Roma, novembre 2008

Vittorio Mathieu

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